Il vero significato della libertà. Un'idea per ripartire: ridurla. di Annarosa Buttarelli

Annarosa Buttarelli
Annarosa Buttarelli

Pubblichiamo un articolo di Annarosa Buttarelli, comparso il 4 gennaio nell’allegato Liberi tutti al Corriere della sera.
 
Il vero significato della libertà. Un’idea per ripartire: ridurla
Di questi tempi la coperta della libertà è tirata da tutte le parti, tanto che può essere usata da qualsiasi schieramento politico pro domo sua, e a partire da tutte le posizioni filosofiche scolastiche, senza che si riescano più ad avvertire le appropriazioni paradossali del suo significato. Ad esempio pensiamo a chi, in nome della piena libertà individuale, pretende di imporre la finzione che due maschi siano «genitori alla pari» di un essere umano generato da una donna. La filosofa María Zambrano in L’uomo e il divino aveva avvertito gli europei che la libertà, quasi in contemporanea alla Rivoluzione francese, ha iniziato ad acquisire un carattere negativo, a generare confusione di senso, fino a diventare l’a-priori dei discorsi sociali, politici e della vita stessa, divenendo il nome di ogni possibilità.
 
La pseudolibertà che può disgregare i legami sociali
In realtà, l’enorme quantità di cose ritenuta possibile nella condizione umana riguarda una pseudolibertà che può disgregare le relazioni amorose e i legami sociali. Nel cambio di civiltà che stiamo attraversando, è d’aiuto conoscere le indicazioni di filosofe che hanno scritto e praticato differenti concezioni della libertà. Per esempio, si potrebbe meditare su La prima radice di Simone Weil, dove troviamo l’idea che «quando le possibilità di scelta sono tanto vaste da nuocere all’utilità comune, gli uomini non godono la libertà».
 
Oggi ignoriamo il limite dell’utilità sociale
Questa idea lavora contropelo a uno dei caratteri salienti della vita contemporanea: l’enorme possibilità di scelta che oramai non conosce il limite dell’utilità sociale e che genera irresponsabilità, puerilità, indifferenza, incapacità di fare, salvare, onorare le differenze che compongono la realtà. La competizione esasperata tra «prodotti» materiali, intellettuali, spirituali è esaltata in nome di un’illimitata libertà di scelta. Entrare nella logica proposta da Simone Weil ci apre un altro mondo in cui si potrebbe godere veramente della libertà: avere una sola scelta da poter fare, ma sentire di aderire a quella con tutto il cuore e in piena coscienza.
*Annarosa Buttarelli, classe 1956, Impegnata nel pensiero e nella politica della differenza, insegna Ermeneutica e Filosofia della Storia all’Università di Verona

3 Commenti

  1. Spinge a riflettere questo scritto di Annarosa Buttarelli.
    A me fa pensare da una parte alla tecnoscienza che allarga in modo quasi infinito le forme della libertà. Io con la tecnoscienza posso fare questo e posso fare quello; rispetto al mio corpo posso potenziare la mia mente, modificare il mio Dna, controllare le mie performance e la mia salute con i biosensori, posso aumentare la potenza dei miei organi di senso, ecc…posso cioè sbizzarirmi, a fare del mio corpo quello che mi pare e piace e mi esalto in questa quasi infinita libertà che la tecnoscienza mi permette.
    Ma è davvero infinita libertà questa o è infinita coazione a ripetere quella stessa struttura di relazione col mondo che ha nell’idea di infinita modificabilita` della natura (il mio corpo compreso) e nella infinita volontà di potenza, il suo verbo, il suo placet, il mio immenso godimento?
    Insomma la supposta libertà che mi consente la tecnoscienza non è libertà, ma coazione a ripetere in un’ infinità di variazioni uno stesso modello: la volontà di potenza sulla natura. E la coazione a ripetere , si sa, è mortifera. Altroché libera!
    Altra cosa è espressione e creazione di pensiero , di forme, estetiche, di nuove modalità di entrare in relazione con le altre, gli altri, ecc…Questa modalità di esistere non viene dalla tecnoscienza, ma dalle energie interiori. È ciò che i Greci avevano individuato come daimon. Come comando del daimon a cui non è lecito rispondere con il tradimento. Allora libertà diventa , in primo luogo, libertà da. Devo liberarmi , e , in quanto donna, non posso non farlo, da (appunto libertà da!) tutti quei condizionamenti della cultura patriarcale che, con i suoi assetti concettuali-esistenziali , si sono iscritti nel mio cervello,e lo sappia o no, lo voglia o no, mi condizionano, se non vigilo costantemente. Devo liberarmi da questo cumulo di cose che non mi appartengono e mi schiacciano, per diventare da “libera da” a “libera di ” . Libera di lasciar al mio daimon, alla mia eudaimonia, la possibilità di farsi ben percepire da me, in modo che, collaborando con la sua forza creativa, io possa vivere una vita che sia vera vita. E questo corrisponde, credo, a ciò che Annarosa Buttarelli, seguendo le tracce di Simone Weil, chiama l’unica scelta a cui aderire con tutto il cuore e in piena coscienza. Libertà è questo. Questo bellissimo obbligo.

  2. Nella principio di libertà è insito il principio base di conoscenza (responsabilità) di ciò che è bene e male per se stessi e per gli altri. Questo forse non è proprio chiarissimo e scontato.
    Moltissima gente sceglie pensando di usare il proprio desiderio di libertà ma se la propria percezione, il proprio sapere è limitato (e penso a tutte le politiche che utilizzano e alimentano l’ignoranza proprio per il controllo della libertà altrui) ecco che il senso di libertà che questo individuo ha di se e di cosa è meglio per se è compromesso. Il saccheggio perpetuato al pianeta è un esempio dell’uso sbagliato di libertà perché ci porterà all’autodistruzione. E questo è evidentemente “male”. Ma tanti non lo sanno, molti non lo vogliono far sapere.

  3. Hai ragione.
    Usare la libertà senza essersi fatta un’ idea del bene e del male, senza farsi agire da un’intuizione forte di ciò che è bene e ciò che è male , compromette il senso della libertà .
    Mi viene in mente il verso di Dante per cui la legge è ciò che piace a ciascuno, indipendentemente dagli altri. ” E libito fe` licito in sua legge”. Anch’io penso con indignazione che le politiche non fanno nulla per chiarire ai popoli che guidano il senso di ciò che va bene e di ciò che non si deve fare (come il saccheggio dell’ambiente, ma anche “il saccheggio” delle persone con lo sfruttarle e il considerarle cose.) E i politici che alimentano l’ignoranza per controllare la gente, sai che pena meriterebbero, per me? Studiare a memoria in un anno tutta la Divina commedia e saper riferire il lavoro sugli scavi archeologici descritti dai libri della Gimbutas, o cose del genere… Vediamo se si svegliano un po’! Se cominciano a capire che cos’è la responsabilità! Admin non sto scherzando!!

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