Mostre a confronto – Alessandra de Nardis

Mostre a confronto: chi cela e chi svela

Vale più che mai in questo sezione del sito il senso del nostro agire:
Autrici di Civiltà è un sito che nasce per rendere visibile l’opera creatrice delle donne.

Due mostre in Italia, una terminata da poco l’altra ancora in vigore ci permettono di aprire questo tema che si occuperà di mostre che riescono a mostrare e mostre che invece occultano.

Sono a confronto la mostra IDOLI – Il potere dell’immagine che si è conclusa il 20 gennaio scorso a Venezia e DONNA O DEA: le raffigurazioni femminili in Sardegna tra passato e presente che resterà aperta fino al 12 maggio 2019 a Cagliari.

Da qualche tempo – da diversi anni, in verità – c’è una gran voglia di parlare di Dea Madre che però si evita spesso di nominare; un fiorire di convegni, di libri, di mostre, di articoli giornalistici. Non ultime queste due iniziative che hanno voluto portare in mostra centinaia di immagini della Dea: manufatti che provengono da gran parte del mondo compresa una folta rappresentanza dall’Italia. Sono immagini belle, potenti e piene di senso per chi ha occhi per vedere e consapevolezza con cui apprezzarle ma soprattutto se ha potuto costruirsi una cultura in grado di supplire alle mancanze e alle mistificazioni che quella ufficiale continua imperterrita a operare.

Di che parliamo? Nella mostra IDOLI di Venezia per esempio non è mai nominata di Marija Gimbutas, l’archeologa che prima di ogni altro ha saputo scoprire e interpretare queste immagini e non si nomina mai “Grande Madre” o “Grande Dea”.

Autrici di civiltà ha già segnalato la lettera di Joan MARLER in cui dava notizia del mutato atteggiamento di Colin Renfrew, l’archeologo che ha sempre duramente combattuto le ipotesi di Marija Gimbutas. Lui è lo stesso che nel libro Archeologia. Teoria, Metodi, Pratica, testo adottato in molti atenei anche italiani, presentando gli archeologi del ‘900 omette Marija Gimbutas – salvo citarla più volte nel testo per dissentire dalle sue teorie.

Tornando alle due mostre dunque esse raccontano due mondi differenti e il perché e in cosa differiscono lo lasciamo a voi che ci leggete; vi forniamo però il prezioso aiuto della giornalista Francesca Bianchi che ha realizzato due interessanti interviste ai rispettivi curatori e curatrici delle mostre in analisi; il suo lavoro, senza mettere in imbarazzo nessuno, riesce ad evidenziare come chi fa cultura scivola ancora troppo spesso sul collaudato sistema dell’occultamento più o meno volontario (e qui ci riferiamo a Venezia). C’è ancora una sorta di timore ad essere contagiati dal nome e dalle ricerche della Gimbutas?

Parte da qui il nostro invito a visitare la mostra di Cagliari, un bell’esempio di come invece si può offrire una visione corretta perché in grado di mettere in  campo tutte le visioni e non solo una; la mostra si avvale anche di una trasversalità tematica grazie alla quale, oltre a visitare l’esposizione è possibile partecipare ad appuntamenti  antropologici, etnografici e sociologici. Un mondo al femminile che nei millenni ha attraversato le sfere del mito, del sacro, del religioso e del quotidiano per arrivare fino a noi.

La mostra è curata dall’antropologa Silvia Fanni, e dalle archeologhe Marcella Sirigu e Laura Soro, con il supporto scientifico di Carlo Lugliè.